Uno dei miei luoghi

Ho atteso un anno intero per sedermi su questa panca. Rispetto ad un anno fa è stata spostata. Immagino la fatica compiuta per muovere questa solida e pesante struttura di legno, dalla posizione più arretrata sotto la pianta, a quella attuale più vicina al masso che delimita il confine con il baratro che separa la vita dalla morte. Una croce con dei fiori finti e una fotografia avvisano i visitatori che superando quel masso non si torna indietro. Ma se per qualcuno questo è il luogo dove si è consumata una tragedia, per me è sinonimo di incanto meraviglia e pace. Mi domando di cosa si sia trattato. Una tragedia consumata per un selfie o un gesto volontario frutto della disperazione più profonda? Ogni volta che arrivo su e vedo la croce non penso al soggetto nella foto ma alle persone che ne piangono la morte. Quelli che restano. Ma è solo un attimo, poi i miei occhi vengono inevitabilmente catturati dalla finestra che si apre sul mondo. In lontananza sul confine tra cielo e mare le montagne si tuffano nel blu una dietro l’altra. i loro profili somigliano a cavalli al galoppo con criniere volanti.

La costa vista dall’alto mostra distese di cemento che dal mare risalgono la montagna per poi abbandonare gradualmente il tentativo inutile di invasione di uno spazio che inevitabilmente torna al suo legittimo proprietario. Se non fosse per un ultimo tentativo di addomesticare la natura selvaggia che ha visto l’uomo con il tempo scavare alti gradoni nella terra per dedicarsi alla coltivazione di ulivi e vigneti nel tempo abbandonati per attività più proficue. La natura vince sempre per la sua dote impervia.

Salgo qui attraverso una ripida mulattiera che dalle Grotte di Borgio porta a Verezzi. Quando arrivo mi accoglie uno degli antichi lavatoi sparsi per le contrade. Ficco la testa sotto l’acqua fresca, bevo un sorso e grondante, riprendo a salire. il secondo lavatoio che incontro è per me una sorta di bivio. Scelgo sempre il sentiero geologico che attraverso alti gradoni di pietra mi porta in una grotta dalle origini antiche. Si racconta che qui una volta si rifugiava l’uomo per sopravvivere. Il mare era poco più a valle. Un tempo così remoto da veder il mare centinaia di metri più a monte rispetto alla sua posizione attuale. Così mi è facile riconquistare ogni volta una consapevolezza perduta. Il mio è un passaggio breve su questa terra che ha un’età inimmaginabile per la mia piccola mente. Continuo a salire e mi lascio la grotta alle spalle. Una decina di metri e il sentiero si mette in piano. Sono ora dentro al bosco in cima alla montagna. Un tappeto di piante di asparago selvatico mi accoglie. Non è la stagione della raccolta e mai per me lo sarà. Questa per me è una cosa estiva.

Il passaggio alla grotta per arrivare in cima è un rito che assume un grande significato. La mente sempre così affollata di pensieri si svuota. Nulla ha più importanza del tempo presente. Non ho un passato e non penso al futuro ma vivo il momento. Ecco perchè questo è uno dei miei luoghi.

Quando salgo e poi quando sono su amo sentire il mio corpo reagire al sentiero. Il cuore aumenta i suoi battiti, il fiato si fa spesso e dalla testa scivolano lungo il viso o sulla nuca gocce calde di sudore. Amo l’attenzione che necessita ogni passo che compio. Evitare di mettere un piede in fallo e rovinare a terra mi impegna la testa. Amo la vibrazione che nasce da dentro mentre mi impegno nel fare tutto questo. E poi amo prendere le distanze da tutto, prendere le distanze dai miei stessi pensieri soprattutto quelli tossici che affliggono spesso la mia mente quando guardo al passato, vivo il presente e progetto il futuro. Conoscenza, dubbi e domande a cui dare delle risposte.

Anche se non ne è spesso consapevole, l’uomo non può tutto. Ci sono cose che non può assolutamente fare e questo suo limite è la sua più grande fortuna, perchè lo salva dall’autodistruzione mantenendo intatta la bellezza.

Da quassù tutto sembra così accettabile. Rumori di vetro infranto, di falciatrice, di cicale al sole. Un cane in lontananza che abbaia e un asino che da più vicino raglia. Qualche insetto frulla nel suo volare determinato. Le foglie si spintonano nel vento. Il treno emette un breve fischio in ripartenza. qualche voce lontana parla una lingua a me estranea. L’eco di un aereo che passa, il salire del pulmino lungo la strada di sotto.

Ho finito il libro e una ventata di aria più fresca mi dona sollievo. Mi sento leggera. Le campane hanno suonato la mezza, è ora di rientrare anche se lasciare questo posto è una cosa che non vorrei mai fare. Mi manca già. La nostalgia è nello stomaco. Il ricordo sarà dolce. Il desiderio mi riporterà qui ancora forse tra 1 anno forse prima.

Mi è venuta fame. Ho voglia di comprare i biscotti dal fornaio di Borgio.

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