Leni e Rinella
Al mattino del terzo giorno, c’è una luce intensa che esalta la bellezza della veranda eoliana. Ne approfitto per scattare alcune foto del panorama, della Salina e del faro di Lingua. Una giornata perfetta. Oggi ho deciso di recarmi fino a Leni con il pulmino, visitare il paese, magari un’altra azienda vinicola, e per cominciare scrivo un messaggio a Monica e uno a Elena. Alla prima chiedo se in giornata può dedicarmi del tempo per una chiacchierata. Alla seconda chiedo informazioni per effettuare una visita al museo dell’emigrazione. Elena mi risponde subito che in giornata non è disponibile e mi manda il numero di una sua collega. La visita al museo è rimandata a domani. Decido di inviare un messaggio anche a Alessandro, lo scrittore conosciuto sul pulmino. Monica mi propone inizialmente di fare una bella chiacchierata sul lungomare mentre consumiamo la famosa granita da Alfredo. Le rispondo che è un’ottima idea. Le racconto del programma di recarmi a Leni in mattinata e poi scendere a piedi a Rinella attraverso la strada panoramica.
A quel punto, cambia tutto. Scopro che Monica abita proprio a Leni e che la sua attività di ristorazione è a Rinella. Oggi è impegnata con la pulizia del bar prima della riapertura per la stagione estiva e mi propone di incontrarci da lei a pranzo. Accetto volentieri. Quando arriverò a Rinella, mi spiega, la troverò al bar sotto al ristorante La Grotta.
Oggi scelgo di recarmi al capolinea, lì dove il giorno dell’escursione al Monte ho conosciuto Beatrice . I prati che costeggiano la strada mi ricordano i quadri di Monet, punteggiati di fiori rossi e gialli. La giornata limpida permette di scorgere in fondo, a sinistra di Lipari, l’Etna e la costa. La distanza sembra azzerarsi. Su quest’isola tutto può essere possibile. Sono rarissime le volte in cui mi sono sentita così piena, viva e sicura.
Lingua e Rinella non distano molto in linea d’aria. Dal capolinea di Lingua, dove la strada finisce con le panchine affacciate sul mare, volgendo lo sguardo verso nordovest oltre la montagna, non la vedi ma è proprio lì che si trova Rinella. A dividerci, il pendio.
Per mare basta girare l’angolo ma con il pulmino è tutta un’altra storia. Rinella e Lingua sono i due capi della linea di trasporti dell’isola. Per arrivare oggi da Monica dovrò aggirare Monte Fossa delle Felci.
Sul pulmino si siede accanto a me, la signora Lidia, a cui racconto dell’amore che immediatamente ho provato per questi luoghi. Le chiedo se lei si sia mai abituata al panorama. Gli occhi di questa anziana signora, si illuminano mentre saliamo la strada che costeggia Capofaro verso Malfa. Mi risponde che di Salina, della sua natura e del mare che la circonda, non potrà mai stancarsi. Non faccio fatica a crederle.
Quando arrivo a Leni, scendo al centro del paese e passeggio senza meta, approfittando del bel tempo. Ne approfitto per godere della vista dall’alto.
Con calma mi dirigo verso la strada panoramica che mi porterà al mare.
I lati del sentiero sono costeggiati da filari di cactus: il profumo dei fiori è intensissimo.
Sono la sola che percorre questo sentiero. Non incontro nessuno. La natura prevale. Nulla sembra poter disturbare la quiete di questo luogo. Mi sento in pace.
Quando arrivo a valle, la strada mi conduce dritta alla piazza della chiesa. Chissà, in passato, quante volte i devoti la domenica mattina avranno percorso il mio stesso sentiero per recarsi alla messa.
A delimitare la piazza, una seduta in maioliche eoliane dei colori del cielo e una scala che conduce alla spiaggia e al porto.
La quiete è interrotta improvvisamente da un gran scampanare. Mezzogiorno. Le campane sono assordanti. Rido per quanto sono fastidiose. Mentre aspetto che smettano di suonare, mi siedo un attimo per ammirare il panorama. Il sole oggi è così caldo che viene voglia di andare in spiaggia. Quella di Rinella è composta da sabbia nera, vulcanica, così ben integrata nel paesaggio che la mente quasi neanche si accorge di questa sua particolarità unica. Il nero dona a Rinella un fascino unico ma senza pretese.
Scendo le scale che portano alla spiaggia. Ammiro da vicino i colori della montagna che si riflettono sulle acque scure per via della sabbia nera. Si avvicina a me un gatto certosino. Conquista subito il mio cuore e mi ricorda i miei due gattoni. Dopo una serie infinita di coccole, saluto il mio nuovo amico peloso e mi dirigo verso il molo dove approdano l’aliscafo e il traghetto. Il tempo,qui a Rinella, è scandito dal loro arrivo: le poche auto in sosta attendono i parenti, il pulmino i turisti. Si percepisce che la stagione estiva è alle porte per il sentimento che prevale nelle persone che osservo. Lavorano per riaprire le attività legate al turismo estivo. Pochi si prendono il lusso di stare al sole, sdraiati.
Salgo dal molo verso il bar dove Monica mi sta aspettando. Entro con un po’ di timore all’interno di un luogo in pieno fermento. Le donne che vedo sono impegnate in attività di pulizia. Chiedo chi è tra loro Monica. Ed è così che io e lei ci conosciamo.
Monica e La Grotta
Dentro al bar, c’è una gran confusione. Una donna e una ragazza stanno asciugando dei ripiani di vetro, forse della vetrina che si usa per riporre le brioche al mattino. Non ci siamo mai incontrate io e Monica ma ho visto qualche foto nel suo profilo Facebook dopo che ha risposto al mio invito di fare due chiacchiere per comprendere meglio quale sia la magia che si nasconde su quest’isola. Lei spunta dal retro del locale, ci salutiamo e mi chiede se posso darle ancora dieci minuti. Ne approfitto per sedermi nella piazzetta che ho visto salendo dal molo. Ancora una volta trovo una seduta in maioliche. Ne approfitto per scrivere e mettere un po’ in ordine le idee.
Il mio corpo oggi risente della fatica di questi giorni. La mia anima è in subbuglio. La bellezza dei luoghi ha scosso qualcosa dentro di me. Mentre scendevo verso il mare, il bagaglio di emozioni vissute nei giorni scorsi ha preso il sopravvento al punto da obbligarmi a fare diverse soste per riprendere fiato. Con la scusa di ammirare il panorama e scattare foto, mi sono presa del tempo per calmare il respiro e soffiarmi il naso più e più volte. Questi giorni stanno avendo su di me un effetto che non mi sarei mai aspettata e che fatico a decodificare.
Ritorno al bar, Monica mi invita a salire al piano di sopra dove il ristorante con le sue ampie vetrate si affaccia sul mare. La prospettiva più alta, offre una vista che spazia fino alla linea dove cielo e mare si incontrano. Sotto, il mare s’infrange sulle rocce con un ritmo costante.
Monica mi presenta Marco, il suo compagno nonché titolare del ristorante. Mi sento un po’ imbarazzata. Il locale è elegante e non ho dubbi che si mangerà benissimo. Mi sento una scroccona ma faccio prevalere la curiosità di conoscere questa donna che senza sapere nulla di me mi offre un pranzo che scoprirò poi essere più che ottimo.
Quando l’avevo contattata nei giorni precedenti alla partenza, le avevo chiesto di aiutarmi a comprendere la magia che risiede nell’isola. La nostra conversazione, come il nostro pranzo, ha inizio.
Mi racconta brevemente della sua esperienza di vita. Mentre la ascolto, mi accorgo di come le nostre storie, anche se vissute in ambienti che non potrebbero essere più diversi tra loro, si somigliano.
Entrambe abbiamo desiderato fuggire altrove, pensando che lontano avremmo trovato di meglio; entrambe siamo tornate con la consapevolezza che non esiste un posto migliore dell’altro, ma che siamo noi a renderlo tale, con il nostro desiderio e con tanta forza di volontà, tempo e impegno.
Entrambe siamo rimaste amareggiate nel renderci conto che spesso questo non basta. C’è bisogno di una comunità intera per crescere un bambino, dice un detto africano. Credo che lo stesso valga per l’intero tessuto sociale e le sue molteplici questioni.
Entrambe abbiamo lavorato per gli altri e ora stiamo pensando un po’ a noi stesse.
Il desiderio di una comunità partecipata è tuttora vivo e forte in noi, ma stiamo solo cercando il modo per poterlo realizzare.
Quando arriva il turno di raccontarmi, le spiego perché sono sull’isola e cosa ho fatto fino a quel momento; le racconto della mia famiglia, della dedizione verso i miei figli e della volontà di riprendere in mano la mia vita e permettere a loro di fare lo stesso.
Così, le emozioni che a stento avevo contenuto la mattina, parlando con Monica, hanno preso il sopravvento. Davanti a questa donna coraggiosa, così disponibile, inizio a piangere; lacrime silenziose scendono anche mentre assaporo gli squisiti piatti gourmet preparati con gran cura dallo chef.
Se non mi ha giudicata pazza, la ringrazio. Mi scuso infinite volte con lei. Se solo sapesse quanto sia sempre stato difficile per me piangere. Impossibile solo dieci anni fa. Monica non può capire quanto io sia sorpresa ora di farlo.
Per distrarmi e anche per avere ricordo di questo pranzo da regina, ogni volta che arriva un piatto lo fotografo e lo annoto sul telefone per ricordarne il nome.
Ho così avuto modo di assaggiare l’arancino al nero di seppia più buono dell’universo. Non che io sia una critica culinaria, però so riconoscere quando un piatto è molto buono.
La cucina non è il mio regno, ma sono bravissima a mangiare.
Lo chef Nico si presenta a noi con un’insalata di polpo secco, gamberi e cozze, salmone disidratato con fragoline (divino) e spada marinato.
La nostra conversazione converge sul presente. Monica mi racconta della carenza cronica di personale per la stagione estiva. Chi è dell’isola arriva a fare anche tre lavori al giorno e durante la stagione calda, il personale che arriva da fuori non è mai sufficiente per gestire la quantità enorme di gente che ogni giorno, da luglio a settembre, arriva sull’isola. A metà maggio, non ha coperto tutti i turni del bar o del ristorante.
Mi viene in mente quello che mi raccontava solo ieri Maurizia. Questo posto sarebbe perfetto per tutti gli studenti che desiderano fare esperienza, vivere in un posto meraviglioso per qualche mese e lavorare.
L’isola, è a meno di due ore di aliscafo dal continente e ha bisogno di ragazzi giovani che si mettano all’opera.
Arriva nel frattempo il secondo, richiesto da Monica perché uno dei suoi piatti preferiti.
Comprendo subito il motivo di tanto entusiasmo. Posato su un piatto nero che richiama la spiaggia di Rinella, sono adagiati due fritti dalla crosta dorata scura e croccante. Un involtino di spada e una polpettina di pesce stocco con finocchietto adagiati su una mousse di pomodoro seccagno. Una bontà esaltata dal sapore del finocchietto e dalla cremosità della mousse.
Mentre divoro queste delizie, Monica continua a raccontarmi della loro attività, della passione che li distingue per il lavoro che svolgono e **dell’**impegno verso la comunità.
Non potevamo concludere il nostro pasto senza la Malvasia di Salina.
Scattiamo qualche foto ricordo e poi scendiamo a vedere la grotta che dà il nome al ristorante, appena pochi metri sotto di noi. Entrando in questo luogo dalle pareti scure, la luce proveniente dall’esterno sembra ancora più intensa. L’effetto è bellissimo.
Chi ha la fortuna di soggiornare nell’hotel, accede alla spiaggia da un passaggio che scende nella grotta. Lo stupore alla vista della grotta, il sorriso che nasce sincero sulle labbra di Monica quando comprende quanto tutto questo mi affascina e i suoi occhi che non nascondono ma non rifuggono le fatiche dell’esistenza, mi hanno regalato momenti che non dimenticherò presto.
Lascio Monica al suo lavoro portando nel cuore un sentimento di enorme gratitudine e il desiderio di incontrarla ancora il giorno dopo. Si è offerta di farmi conoscere i luoghi dell’isola che preferisce.
Il Pulmino
Sul pulmino, dietro all’autista, è seduto un bambino, vestito con un bermuda, calze bianche di cotone fino al ginocchio, una polo e un maglioncino senza maniche. I capelli tagliati corti hanno la riga di lato. Un piccolo lord di sei anni seduto composto. Noto che ha lo stesso taglio dell’autista. Dona l’impressione di essere fiero di accompagnare il papà durante il turno di lavoro. Mentre risaliamo lungo la strada che mi riporta verso Malfa, si addormenta.
Vivo tutto con grande intensità emotiva. Prima le lacrime inarrestabili quando parlavo del mio vissuto e adesso la serenità che prende il sopravvento nel vedere l’amore di questo papà per il suo bambino. Lo porta con sé, e lui si sente al sicuro e dorme sereno. Non ci sono fatiche o paure che non si possano affrontare negli occhi di quest’uomo; non c’è disperazione né dolore inespresso, c’è la serenità del quotidiano. Scegliere di visitare l’isola nei periodi di bassa affluenza turistica, mi permette di vedere la vera anima di questi luoghi e dei suoi abitanti. Difficile non provare sentimenti di gioia e amore. Non conosco la storia di questo padre, le sue fortune o sfortune, le sue vicende passate o quelle attuali, ma vedo l’amore per il figlio e questo mi genera gioia, ma in fondo anche un immenso dolore.
Alessandro e Geronimo
La giornata sembra non essersi ancora conclusa. Mentre ero con Monica, aveva risposto al mio messaggio di questa mattina Alessandro. Mi chiedeva se potevo recarmi da lui nel pomeriggio. Così, per le diciassette, sono arrivata a Gramignazzi. Uno dei due uomini incontrati il primo giorno sul pulmino mi attendeva alla fermata, pronto a farmi conoscere Geronimo.
Il suo libro per l’infanzia, “Geronimo e i pirati, all’assalto delle pepite verdi” è stato pubblicato da poco. Quello che non mi sarei mai immaginata era che Geronimo esistesse veramente.
Mi conduce in un posto magico. Il sentiero al centro, mi racconta, fa parte dell’antica strada che conduceva gli abitanti da Lingua attraverso CapoFaro fino a Malfa.
In questo piccolo angolo di paradiso affacciato sul mare, si vede Stromboli fumare mentre, in questo pomeriggio di maggio, un’opera di Vivaldi fa da colonna sonora. Finalmente ho modo di conoscere Geronimo e i suoi amici mentre Alessandro mi racconta la sua storia travagliata e l’amore che nutre per questi luoghi. Dalle sue parole comprendo che le scelte che ha fatto in passato, spesso lo hanno portato a toccare il fondo, ma ha deciso di non mollare mai, e di vivere pienamente le sue passioni andando oltre ogni paura anche quando ha poche certezze. Affronta le fatiche e, tra alti e bassi, sceglie ogni giorno di non cedere o lasciarsi sconfiggere dal senso di fallimento. Alessandro si svela essere una persona dalla grande creatività. Forse, come molti, un uomo dal genio incompreso che senza finanziatori non riesce a spiccare il volo e realizzare ciò che la sua mente produce. In questo tardo pomeriggio di maggio, non posso fare a meno di pensare a cosa potrei fare per aiutarlo. Mi limito ad ascoltare con attenzione e con un occhio attento, questo luogo e i suoi abitanti.
Sulla destra del sentiero spicca una figura di guerriero. Osservandola attentamente riconosco i segni inevitabili di lunghe lotte per la sopravvivenza. Il suo volto, segnato dal tempo, non lo rende meno affascinante; anzi, esprime tutta la saggezza di chi ha avuto molta pazienza e che nonostante tutto ancora lotta per la sopravvivenza.
Geronimo ha circa un centinaio di anni ed è forse la pianta di capperi più longeva dell’isola di Salina. La sua fortuna è stata quella di incontrare Alessandro che si occupa di Geronimo ormai da diversi anni. Per preservarlo da un destino crudele, ha raccolto centinaia di ricette che possono essere eseguite con i capperi, e ha pubblicato il libro dove il piccolo bocciolo verde, è il tesoro che i pirati vogliono sottrarre a Geronimo e ai suoi amici.
Anche per Maurizia, seppur in modo diverso, le piante di cappero come Geronimo sono un patrimonio inestimabile.
Le storie di molte persone si stanno intrecciando intorno a queste piante.
Non sapevo cosa mi sarebbe successo recandomi a Gramignazzi, non sapevo chi fosse Alessandro né conoscevo Geronimo, eppure sono felice di avere accettato il suo invito; è straordinario quello che Alessandro vuole fare e ha già fatto. Con le sue sole forze, tanta tenacia e determinazione ha reso speciale un luogo che, lasciato a sé stesso, sarebbe andato perduto.
Risalgo una volta ancora sul pulmino e, una volta arrivata a Lingua, mi reco in piazzetta. È tardi, le temperature calde del pomeriggio si sono notevolmente abbassate ma decido comunque di assaggiare finalmente la famosa granita di Alfredo.
Mi siedo a uno dei tavolini che si affacciano sul mare, pochissime persone intorno a me mentre, con animo leggero, affondo il cucchiaino nella coppa colma di granita alla fragola, mandorla e panna montata.
La mia ricerca della magia dell’isola può ritenersi conclusa. Il tempo che dedichiamo a noi stessi, alla nostra anima e alle nostre passioni è la vera magia. Maurizia, Monica e Alessandro, concedendomi l’onore di trascorrere insieme un po’ di tempo, mi hanno fornito la risposta.
Ma la mia permanenza a Salina non è ancora terminata e, con l’enorme senso di gratitudine e il cuor leggero, sono curiosa di concludere la giornata e scoprire cosa c’è in serbo per me in questo viaggio.