11 maggio 2023

Risveglio all’alba

La notte appena trascorsa è stata tormentata da una serie infinita di immagini del sentiero invaso dalla natura fradicia di pioggia.

Tuttavia, salire i gradoni che portano al tetto, volgere lo sguardo al mare, vedere il cielo immerso nella luce dell’alba, mi carica di un’energia nuova. Resto qualche minuto ferma. Chiudo gli occhi. Ascolto l’isola e i suoi silenzi, li riapro e osservo il sole salire lentamente oltre i tetti delle case di Lingua. Riempio i polmoni e la pancia con respiri lunghi e profondi. Il mio sguardo supera Lipari, va verso la costa e là, sul fondo, immersa in una foschia bianca, scorgo l’Etna. Riscendo in cucina, mi preparo, poi mi siedo in veranda a far programmi per la giornata. Decido di visitare Pollara. Con Stefania e Beatrice ci rivedremo questa sera per una cena di commiato. Domani ritornano a Palermo.

Quando esco per andare a prendere il pulmino, questa volta mi dirigo verso il paese. I vicini, che non sapevo di avere, mi hanno suggerito, di fare acquisti in un piccolo negozio di alimentari che si incontra sulla strada. Ma è ancora presto e lo trovo chiuso. Mi siedo così sul muretto vicino. Mi trovo a un incrocio con la strada che scende verso il lungomare di Lingua. Una barca dalla vela rossa, scivola lenta, dentro un mare d’argento.

Quando salgo sul pulmino, con mia enorme sorpresa incontro Beatrice e Stefania. Dicono salutandomi che non hanno resistito: “una giornata sul lettino, una giornata persa”. Siamo di nuovo insieme perché anche loro si stanno dirigendo a Pollara. Il tempo così variabile, è una costante per l’isola. Siamo partite da Lingua con un cielo terso e siamo arrivate a Pollara con nuvole enormi a fare ombra al piccolo paese che nasce dentro la caldera del vulcano. Monte dei Porri, l’altro dei due vulcani di Salina, è parzialmente crollato generando una piana a picco sul mare. Un panorama unico che è stato reso immortale dalle immagini del film “Il Postino”.

Appena il pulmino riparte dalla piazzetta della chiesa, scivola via lasciando libero lo sguardo al muro che delimita la piazza. In quel momento il sole ricompare e illumina Mario e Pablo ritratti seduti in una delle scene più iconiche della pellicola girata nel 1994*.

La Scenografia perfetta

Il cartello sbiadito appeso alla parete della chiesa indica la strada che scende al mare. Ci incamminiamo su una strada carrabile ampia, intitolata all’indimenticabile Massimo Troisi, che a questi luoghi ha consegnato il cuore, l’anima e l’eternità.

Beatrice e Stefania, lungo la strada, si fermano per chiamare il numero di una proprietà in vendita. Immaginano di svegliarsi al mattino, uscire in veranda e con un solo colpo d’occhio vedere il mare, l’orizzonte e l’enormità del cielo. Poi, a sera, prendersi del tempo per assaporare gli ultimi raggi di sole che, accarezzando la pelle e il mare, si immergono nelle profondità scure dell’orizzonte, cedendo il palcoscenico alla luna nascente.

Lascio le mie compagne ai loro sogni e scendo fino al mare. Ripercorro la strada che nel film Mario affrontava con la bici per recarsi alla “casa rosa”. Le pedalate in bicicletta come simbolo del coraggio di essere se stessi. Lo sento anch’io, come Mario, questo desiderio di lasciare correre il tormento fino a scoprire chi veramente sono e cosa veramente voglio.

Il mare è impetuoso lungo le coste scure e rocciose. Le barche che nel film scaricavano il frutto del lavoro di una notte, ora sono in secca. Pochi metri le separano dall’acqua. La parete verticale di roccia alta decine di metri termina su una sottile lingua di sabbia a spicchio di luna. Ora la famosa spiaggia ripresa nel film, non esiste più. La natura, lavora anche quando non vorremmo. Resterà la memoria del ricordo impressa nella pellicola. Qualcosa in questo suo modo di essere ormai inavvicinabile, rende questo luogo carico di misticismo.

Ancora una volta mi fermo un attimo per ascoltare i rumori del mare e i suoi odori, poi ripercorro la strada in salita domandandomi dove sarà la “casa rosa”. Me la immagino nascosta dalla natura selvaggia che cresce alle spalle di quel cancello arrugginito incontrato lungo la discesa verso il mare. Non mi avventuro, scelgo di preservare la memoria del ricordo.

Sapori eoliani

Quando torno dalle mie compagne di giornata, che mi aspettano in cima alla salita, propongo loro la visita di un’azienda agricola che coltiva e lavora i capperi. Accettano volentieri.

Lungo la strada lo sguardo si riempie ancora una volta di colori.

La primavera qui sull’isola assume un significato molto diverso da quello a cui sono abituata in città. Ci sono fiori dappertutto. L’aria è satura del loro profumo.

Mi piace questo tempo tutto mio, in cui posso assaporare i luoghi, camminarci dentro e respirare.

Arrivate alla Casa dei Sapori Eoliani, il destino vuole vederci di nuovo insieme perché, incontriamo Ilse, la nostra compagnia di escursione. Le raccontiamo della nostra avventura e lei si mostra visibilmente dispiaciuta.

Arrivate nei pressi dell’azienda, ci viene incontro un uomo. Ci accompagna e ci mostra i prodotti lavorati e pronti per la vendita. La quiete del luogo, è così interrotta da quattro donne che contemporaneamente iniziano a fare domande. Siamo difficili da tenere a bada, ma dentro di me penso che Daniele, questo il suo nome, si stia divertendo. Mentre lui mette da parte tutti i prodotti che desideriamo acquistare, ci avviciniamo a una signora che si trova seduta davanti a una montagna di pomodori essiccati di un bellissimo colore rosso intenso. Pronti da mettere sott’olio, si offre di farceli assaggiare. Ne prendo uno, e appena lo metto in bocca mi rendo conto che sono un concentrato di sapori umami con una nota di piccante.

Dal retro del locale esce una donna che si intrattiene a parlare con Daniele di bomboniere per un matrimonio. «Che bella idea», penso.

Le gemme verdi, saranno il dono per gli invitati a un matrimonio che si svolgerà a Santa Marina nei prossimi giorni.

Maurizia, la titolare dell’azienda, attirata dalla nostra presenza rumorosa, ci propone una visita guidata. Mentre ci mostra alcune piante e ci racconta che «l'”Orchidea delle Eolie”, nonostante la sua straordinaria bellezza, non deve sbocciare altrimenti il raccolto di capperi non sarà buono. L’arte risiede nel sapere quando è il momento giusto per la raccolta e questa conoscenza si tramanda di genitore in figlio da decenni. Così fu per mio nonno come per mio padre».

Poi ci spiega e ci mostra i vari passaggi della lavorazione sotto sale. L’odore proveniente dai grossi tini è forte, irrita gli occhi e satura le narici.

Restiamo in ascolto e lei così continua: «La raccolta è un’attività piuttosto faticosa, da svolgere ogni giorno per cinque ore da metà maggio a metà luglio».

Descrive la delicatezza del bocciolo: «Ci vogliono dita dal tocco lieve».

Il lavoro presenta non poche difficoltà. Maurizia, infatti, ci spiega che avrebbe la possibilità di aumentare la produzione ma non se lo può permettere. Avrebbe bisogno di molte più persone per la raccolta e invece sono solo quattro donne che ogni anno l’aiutano.

Pensa agli studenti universitari o ai giovani con il desiderio di scoprire l’arcipelago. Potrebbero essere interessati a farlo. Il lavoro è duro ma anche ben pagato.

E se chiamassi la bella donna elegante che ho incontrato sull’aereo? Sonia. Una volta a terra, in attesa delle valigie, mi ha raccontato di essere docente di geografia turistica all’Università. Perché no? Mettere in contatto Sonia con Maurizia. Portare a Salina i suoi studenti.

Mentre la mia immaginazione vola, Maurizia continua il suo racconto: «Tutto quello che vedete», ci spiega, «è frutto del bellissimo progetto pensato e realizzato da Roberto, mio figlio. Purtroppo lui non è qui con noi, per raccogliere i frutti del suo gran lavoro». Un destino crudele, una mattina, le ha lasciato il suo unico figlio, morto sulla strada.

Dove ha trovato la forza? Come riesce a svegliarsi ogni giorno e a portare avanti l’azienda?

Il pensiero corre a casa, ai miei figli, alla paura costante di perderli. Alle notti in cui mi alzavo, quando erano ancora molto piccoli, e mi assicuravo che respirassero ancora. Alla paura, ora che sono grandi, che gli succeda qualcosa di brutto e di definitivo.

L’Oasi

Salutiamo Maurizia, i suoi collaboratori e ritorniamo al capolinea del pulmino dove avevamo visto un locale aperto e dove decidiamo di fermarci per mangiare qualcosa. Sedute sotto a un pergolato, abbiamo il mare di fronte e la verde caldera alle spalle. Intorno a noi un piccolo giardino curato, pieno di erbe aromatiche dal profumo intenso. All’Oasi, il locale in cui ci troviamo, un grande televisore sta trasmettendo un filmato aereo di Pollara al tramonto.

Ordino un’insalata guarnita con capperi e pezzetti di arancia. Quando assaporo quest’ultima, il mio cervello esplode in “uno spettacolo pirotecnico del gusto”. Mai ho assaggiato un’arancia così dolce e succosa. Odori e sapori, qui sembrano liberi di esprimersi al massimo del loro potenziale.

Sarà questa, la magia che mi ha attirata qui sull’isola dopo tanti anni?

Mentre prendo il caffè, incontro lo sguardo di una coppia seduta qualche tavolo più in là rispetto al nostro. Sono i miei vicini di casa. Intanto Ilse si sta intrattenendo a parlare con alcuni suoi conoscenti.

Facciamo infine conoscenza con Lara, la proprietaria. Ci intratteniamo con il suo racconto della nascita di un amore, quello di lei per Pollara, per suo marito e per l’isola tutta. Ascolto incantata e quando arriva il momento di risalire sul pulmino, mi ritrovo a salutarla da lontano e a invitarla a scrivere la storia della sua vita. Una storia così romantica, penso, merita di essere letta.

La Cantina

Risalendo con il pulmino dal fondo della caldera, rivolgo, un’ultima volta, lo sguardo al mare di Pollara.

Arrivate a San Lorenzo, sediamo su una panchina al sole, in attesa della coincidenza che ci riporterà a Lingua. Davanti a noi si ferma una macchina. La mia vicina di casa ci fa cenno di salire, ci offre un passaggio. Accettiamo volentieri e ci stringiamo sui sedili posteriori di una Matiz, presa a noleggio.

Non so perché, ma del mio viaggio apprezzo tantissimo le limitazioni imposte dal pulmino. Avere una macchina a disposizione sarebbe sicuramente più pratico ma con il pulmino che scandisce il tempo del mio esistere sull’isola, tutto si fa stranamente più semplice.

I miei vicini, così disponibili, di cui però non conosco neanche i nomi, ci accompagnano alla cantina dove, insieme a Beatrice e Stefania, ci prepariamo per una degustazione di Malvasia delle Lipari. Oggi, senza fare programmi, la giornata si è trasformata in un tour eno-gastronomico dell’isola.

Visitiamo la cantina, ne ascoltiamo la storia, infine ci accomodiamo in veranda e scegliamo di accompagnare un tagliere di formaggi misti con un calice di Malvasia della riserva più pregiata.

Prima l’esperienza con i pomodori essiccati dei “Sapori Eoliani”, poi l’arancia all’Oasi e ora il “Nettare degli Dei” dal sapore dolce e gusto vellutato. Quello che sto bevendo è oro liquido che mi trasporta indietro nel tempo, di anni, in un’epoca a me sconosciuta, primitiva. La Malvasia delle Lipari è una dolce carezza che infiamma l’anima e restituisce la vita.

Il commiato

Tornata a casa, ne approfitto per fare una video-chiamata con Nino, facendogli un resoconto dettagliato della mia giornata. Mi faccio una doccia e mi preparo per la cena.

Il ristorante che abbiamo scelto, si trova sul lungomare non troppo distante dalla piazzetta dove ho acquistato il pane cunzato due sere fa.

In questa serata di metà maggio, l’aria è ancora fresca. Riuscirò più tardi a vedere il cielo stellato?

Mentre attendo Stefania e Beatrice, mi siedo sul muretto. Tra poco più di un mese, questo stesso posto sarà un sovrapporsi di voci, luci e colori. Tuttavia ora, il mare incontra la spiaggia e la coccola.

Davanti a me, una donna è seduta al tavolo, ha un calice di vino in mano e sta consumando una cena solitaria. Mi proietto in lei e subito il mio sguardo inquieto vaga incapace di trovare pace. Mi rendo conto che stare da sola in pubblico mi crea disagio.

Lentamente vedo avvicinarsi, le mie compagne di avventura; insieme superiamo la sconosciuta, entriamo all’interno del locale e ci sediamo al tavolo. Nonostante la poca gente in giro, nel ristorante, diversi tavoli sono occupati.

Durante la cena, abbiamo occasione di ricordare l’esperienza faticosa vissuta solo ieri. Oggi ha funzionato come medicina. Con la loro forza e il loro temperamento gioioso, Beatrice e Stefania mi hanno regalato ore spensierate. Ammiro la loro solida amicizia.

Mi invitano a Palermo. Per un istante mi immagino in giro per la città con loro a farmi da guida.

Il tempo della cena scivola via veloce. Auguro loro ogni bene per il futuro e dopo un veloce saluto rientro a casa desiderosa di salire nuovamente sul pulmino.

La mia vacanza continua e non so cosa hanno in serbo per me i giorni a venire.

Nota *

“Il film è stato l’ultimo interpretato da Massimo Troisi, morto prematuramente poche ore dopo la fine delle riprese, ed è ispirato al romanzo Il postino di Neruda (Ardiente paciencia) dello scrittore cileno Antonio Skármeta.”

Wikipedia
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